Remo, così chiameremo questo giovane di circa vent’anni, mi scrive perché è spaventato e confuso, di recente si è svegliato per ben due volte con il lato destro del corpo (braccia e gambe) paralizzate e da allora vive in costante apprensione perché non capisce cosa gli stia accadendo. Ha effettuato le visite neurologiche del caso, con esito negativo, ed il neurologo ha suggerito alla sua famiglia di consultare uno psicologo, ritenendo probabile che il fenomeno sia dovuto a problemi emotivi. Mi specifica nella prima mail che non sa null’altro di quello che gli accade e che al neurologo e al medico di base non ha saputo fornire risposte ad alcune domande che riguardavano i suoi vissuti, le sue emozioni, il suo mondo interno. Per Remo queste paralisi vengono dal nulla, sono una interruzione brusca e violenta nel suo normale fluire quotidiano.
La consulenza è durata in tutto sette contatti, di cui la maggior parte via mail e due in videochiamata nella fase centrale del lavoro. Alla fine del percorso di consulenza Remo ha acconsentito che la sua esperienza venisse qui raccontata, proteggendo ovviamente ogni dato che lo potesse identificare. Su richiesta ha fornito al sottoscritto un disegno (test carta e matita), ha compilato un questionario sui sintomi ed un’intervista semistrutturata sul profilo di personalità, tutto via mail.
Esplorazione del problema e profilo di personalità.
Le prime interazioni via mail hanno avuto lo scopo di esplorare insieme a Remo le caratteristiche di queste paralisi, i fattori scatenanti e le circostanze emotive e relazionali nelle quali si sono verificate. Il consulente forniva a Remo una serie di domande mirate, alle quali il giovane doveva rispondere liberamente. Dall’insieme di queste interazione e dall’interpretazione dei test somministrati il consulente ha potuto effettuare varie ipotesi, da controllare nelle successive interazioni.
Colpisce di Remo una seria difficoltà a usare le parole per descrivere la sua vita emotiva, che pure si presenta all’inchiesta viva e forte, fatta anzi di impulsi e comportamenti non ben modulati a volte, cosa che da piccolo gli ha creato seri problemi a scuola. Remo ha tanta energia e reagisce immediatamente agli stimoli ma non ha parole e pensieri per descrivere, contenere e capire ciò che gli accade. Sia le risposte libere alle domande, sia i test somministrati vanno in questa direzione. Quindi alle richieste dirette di raccontare i propri vissuti egli non sa rispondere, e questo è il motivo dei silenzi dinanzi ai medici che ha incontrato o con la madre che cercava giustamente di capire cosa accadesse. Ma se lo si fa parlare della sua giornata, come in una cronaca, emergono tumulti emotivi e reazioni impulsive degne di un romanzo di fine ottocento. Remo non è alessitimico (severa difficoltà a comprendere e descrivere le proprie emozioni, con un associato grado di atonia emotiva) è semplicemente non alfabetizzato a riflettere sulle emozioni e sulle relazioni in cui è immerso. Vive tutto in presa diretta. Questo tratto appartiene anche alla sua famiglia, composta di una madre separata ed un fratello maggiore di tre anni. Dal suo racconto il consulente riesce a far emergere due circostanze importanti: la prima è lavorativa, Remo sta avendo problemi col suo collega di rango superiore, che per alleggerirsi approfitta della sua situazione di comando per far lavorare più del dovuto il giovane. Remo lavora come scaricatore di camion insieme al conducente, che però è anche referente e responsabile delle consegne per la ditta che li fa lavorare, ed inoltre ha anche un contratto a tempo indeterminato e lavora da anni, mentre Remo è in contratto formazione, con scadenza a dieci mesi e rivalutazione a termine della sua condizione. Remo è arrabbiato col collega per i soprusi e per i brutti modi ed è spaventato di poter perdere il posto, anche perché ha già cominciato ad agire impulsivamente qualche volta, passando dalla parte del torto e concedendo al più smaliziato e navigato nemico/collega frecce al suo arco, se vuole, rispetto all’azienda. Remo si sta avvitando in una situazione in cui la sua impulsività potrebbe fargli perdere il lavoro, e sta accumulando rabbia e paura, che cominciano a cedere. Remo ha solo due modalità di gestione delle emozioni problematiche: o la scarica diretta e impulsiva, o la repressione totale.
La seconda circostanza degna di essere sottolineata riguarda invece la famiglia: la madre è una persona molto ansiosa, con la quale Remo intrattiene ancora un rapporto di non completa separazione ed autonomia emotiva. Quando per la prima volta Remo si è svegliato con il lato destro bloccato, la madre si è spaventata più del figlio e si è agitata a tal punto che per molti minuti si è assistito a scene intense e drammatiche e solo il fratello maggiore ad un certo punto ha saputo portare tutti al pronto soccorso. Ai colloqui coi medici spesso i figli hanno dovuto prendersi cura della madre e non viceversa come dovrebbe essere. Il secondo episodio è stato quindi ancora più intenso e drammatico del primo ed inoltre ha posto Remo, che già non sa usare tanto le parole per descrivere gli avvenimenti, in condizione di non chiedere troppo ne approfondire troppo coi medici. Ecco perché ha richiesto una consulenza in linea su internet e non dal vivo; non sapeva come altro fare per chiedere aiuto e informazioni senza allertare o coinvolgere direttamente la madre, che deve poi gestire invece di concentrarsi su di sé. Quanto fin qui esposto è il frutto del lavoro di consulenza, che ha saputo tirar fuori, organizzare e narrare ciò che Remo da solo non sapeva vedere e definire, eppure c’era. Questa restituzione lo ha aiutato molto, perché gli ha permesso di vedere un senso chiaro e definito lì dove esperiva solo cose incomprensibili. Pur non avendo ancora risolto il problema, almeno cominciava a intravedere una cornice che legava il suo sintomo al resto della sua vita e al momento difficile che stava attraversando.
Dietro al sintomo, il problema.
Chiedo più volte a Remo di ricordare se avesse fatto qualche sogno le notti degli episodi di paralisi, ma Remo non ne ricorda nemmeno in generale. Lui dice che non sogna. Gli spiego che anche se non siamo risusciti a far emergere alcun sogno l’ipotesi più logica che posso prospettargli è la seguente. Lui è un giovane che non sa gestire bene le emozioni che gli capitano con le persone, soprattutto quelle problematiche, eppure è una persona ricca di emozioni e di obiettivi, inoltre sa prendersi cura della madre ed è molto responsabile per l’età che ha; lavora e vuole guadagnare per aiutare la famiglia e per costruirsi un futuro, cerca di comportarsi bene con tutti, anche con la sua ragazza ed i suoi familiari. Quando però c’è un problema nella relazione con un’altra persona, non sa come fare e reprime la sua rabbia o la paura; questa però si accumula ed ad un certo punto lo spinge ad agire impulsivamente e a sbagliare, come successo in alcuni degli episodi sia lavorativi che privati che nella sua “cronaca” mi ha raccontato e come gli accadeva già da bambino. In questo periodo la forte tensione sul lavoro lo sta mandando spesso sotto stress e sta accumulando rabbia (verso il collega) e paura (di sbagliar e perder il lavoro), e già qualche volta ha perso il controllo. A tutto ciò lui reagisce, nel tentatvo di controllarsi, con ulteriore repressione: reprime la rabbia e la paura, e cerca di distrarsi come può. Ma a questo punto, gli spiego, i suoi pensieri continuano necessariamente a tornare sul problema, ed assieme ai pensieri ritornano le emozioni relative. Probabilmente fa molti sogni agitati in cui prova rabbia e paura (la madre gli dice che si move molto nel sonno e sembra agitato, anche se poi lui al risveglio non ricorda nulla), forse vorrebbe reagire o colpire (lato destro del corpo, il giovane è destrorso e mi ha confidato che spesso durante le ‘arrabbiature’ sul lavoro gli viene la fantasia di picchiare a calci e pugni il collega) ma deve anche bloccarsi e reprimersi per non fare un guaio. Probabilmente nei due episodi occorsi l’agitazione del sogno è salita troppo e si è risvegliato con “nel corpo” ancora la paura, la rabbia e l’autoimposizione di bloccare il corpo per non aggredire. A questo punto però, da sveglio, si è ritrovato in una scena agitata che ha fatto sparire la componente di rabbia e ha esaltato quella di paura: da un lato ha visto la madre agitarsi, strillare e andare in tilt, dall’altro non riusciva a muovere il lato destro del corpo ed è andato nel panico, non capendo cosa stesse accadendo e non potendo ricordare i contenuti del sogno che gli avrebbero permesso di ricollegare braccia e gamba all’azione vissuta e inibita nel sogno. Quando è andato dal neurologo non sapeva tutto ciò e non poteva quindi spiegarlo; questo ha confermato in lui e nella madre il timore che si trattasse di un fatto organico, anche di fronte al parere del neurologo e alle indagini oggettive negative.
Conclusioni e verifica.
Spiego a Remo che a questo punto l’ipotesi che le paralisi siano dovute a fattori psicologici è molto plausibile, sia perché le indagini neurologiche non hanno evidenziato problemi organici, sia perché il suo profilo di personalità e la situazione di stress in cui si trova sono tali da consentire un sintomo del genere. Una prima indicazione quindi che discende da questa analisi è che Remo deve prendere atto che non sa ancora gestire le sue emozioni come si dovrebbe e che inoltre non sa capire e descrivere il suo mondo interno, i suoi vissuti, le sue emozioni, quindi non sa di conseguenza nemmeno definire bene con se stesso e con l’altro qual è il problema che lo attanaglia. Inoltre ha solo due modalità di modulazione delle emozioni: la scarica diretta e la repressione, e sono troppo poco per la sua età e per le esigenze della vita personale e lavorativa. Il suo collega e la situazione lavorativa vanno sicuramente in qualche modo affrontate e gestite ma in maniere che lui ancora non sa immaginare e attuare, e non può continuare solo a reprimersi, per poi scattare all’improvviso. Ha quindi tre aree di lavoro psicologico da affrontare: capire le proprie emozioni e le relazioni umane all’interno delle quali si verificano, imparare a parlarne e a rifletterci, costruire strategie di modulazione delle emozioni e di intervento più avanzate e funzionali. La paralisi è quindi un sintomo che si spiega in tale contesto psicologico e che tra l’altro non è ciò che più lo deve preoccupare. L’importante è ciò che viene prima e che ha causato questo sintomo: da un lato il problema sul lavoro, dall’altro le sue carenze psicologiche. Gli spiego inoltre che il fatto che comprenda bene tutto ciò quando glie lo spiego e che sappia farmi domande adeguate quando ne parliamo è per me un buon indicatore prognostico, che significa che può imparare molto ed in un tempo ragionevolmente breve. C’è bisogno però che si faccia seguire da uno psicologo e siccome la distanza territoriale che ci separa è troppa, deve rivolgersi ai servizi di zona (che lo aiuto a reperire). Vorrei però che di tanto in tanto mi aggiornasse della situazione.
A distanza di qualche settimana Remo mi scrive per dirmi che tutto quel che è venuto fuori dalla consulenza lo ritiene ancora vero e lo ha capito proprio bene, e che ha prenotato un incontro con uno psicologo del suo territorio. Mi chiede di essere accompagnato in questa fase, cosa che avviene con successo. A distanza di 6 e poi 12 mesi ci risentiamo e sono lieto di riscontrare notevoli migliorie, non solo perché le paralisi non si sono più presentate e al loro posto stanno emergendo i sogni, ma anche perché da come mi parla si vede che sta imparando molto con il collega sui tre punti definiti alla fine della consulenza. Sul lavoro le cose vanno meglio, anche se il collega è ancora un “problema” da gestire, ma va molto meglio. Mi ringrazia ancora e mi promette che mi farà sempre grande pubblicità, io lo ringrazio per il suo entusiasmo e gli ricordo che la porta, o meglio la mail, è sempre aperta.