Il cambiamento e le sue forme
Una persona può realmente cambiare? E può cambiare le condizioni attorno a sé, soprattutto quelle avverse? Molte persone che si rivolgono allo psicologo si pongono tale domanda. Capita in tutti gli ambiti applicativi della psicologia: nella clinica, nell’educazione, nello sport, in ambito giuridico, nella riabilitazione, nel contesto del lavoro e così via.
Che si lavori su aspetti periferici della personalità, come l’acquisizione di nuove competenze, o che si tenti di cambiare aspetti strutturanti e di vecchia data di sé stessi, come atteggiamenti, modi di pensare e abitudini, che si lavori sulla singola persona, sulla coppia, sulla famiglia, sui gruppi o che si supervisioni un collega in difficoltà, la domanda resta e deve restare, perché è la domanda che alimenta la ricerca. Bisogna focalizzarlo bene: il rapporto che sappiamo intrattenere con la domanda e con la ricerca è ciò che predispone in realtà a trovare la risposta. Può sembrare un po’ sibillino, ma adesso sarò più chiaro.
Alcuni frammenti di vite vissute
Io posso cambiare? Ho trent’anni, ho quarant’anni… e non riesco ad allontanarmi da casa, io posso cambiare? Io invece non controllo la mia rabbia, appena ventenne ed ho già perso la fidanzata ed anche il lavoro per questo… io posso cambiare? Ed io, che non me ne accorgo nemmeno di quanto sono impulsiva, io posso cambiare? E quel cibo che non riesco nemmeno a guardare, può cambiare per me? Ed io pure, io che da poco sto capendo quanto di quello che accade a mio figlio dipenda dai miei cattivi atteggiamenti, io posso cambiare? e se cambio io, mio figlio starà meglio? E noi, noi che lavoriamo nella scuola, noi che lavoriamo nella terapia con bimbi piccoli, noi che affianchiamo i disabili, noi possiamo cambiare nonostante la scuola ed i centri sanitari restino gli stessi e ci impediscano di lavorare al meglio? i nostri assistiti staranno meglio anche se le loro famiglie non collaborano quanto dovrebbero? Ed io che abito da assente un corpo vuoto, io posso cominciare a sentire qualcosa? La gioia, forse? Ed io che ho raggiunto tutto eppure non trovo mai pace, io potrò acquietarmi un giorno?
L’importanza di tali domande
Solo il pronunciare queste domande mette angoscia, irrompe la paura ed un misto di irrequietezza e di senso di impossibilità. Il dubbio inoltre, se non sciolto, logora e può cedere il passo allo scoraggiamento. Certo la stessa domanda assume significati diversi a seconda della situazione e della storia della persona che vi ci piomba dentro, ed inoltre il carattere di ciascuno dà un taglio del tutto particolare alla questione. Ed anche io che aiuto ciascuno a “costruire” la sua risposta, certo non ritengo sia l’unica possibile al quesito ed alla sofferenza che dietro di esso si para. Ma nonostante tutti i “se” ed i “ma”, le persone si chiedono questo ed hanno profonda ragione di farlo. Nessuna domanda è inutile, non tutte le domande però sono ugualmente importanti, questa decisamente lo è. E non solo perché vi riponiamo dentro le nostre speranze, le nostre paure, i nostri dolori, le nostre energie emotive ed economiche. Certe domande solo per averle poste generano un orizzonte di senso nel quale poi bisogna imparare a muoversi.
Una riflessione, ben più che una risposta
Io ritengo che il cambiamento sia non solo possibile ma addirittura ineluttabile. Sempre. Ciò che varia è la natura di esso, la sua direzione e la sua quantità ma esso, il cambiamento, avverrà comunque. A volte non ce ne rendiamo conto ma in realtà nessuno può “non cambiare”, perché accade spontaneamente e necessariamente: la vita è movimento, dalla cellula alla famiglia, dal nucleo alla società, tutto è in perenne movimento, più veloce o più lento, ma comunque in movimento.
Se pure io riescissi a “non fare niente” la mia paura nell’allontanarmi da casa comunque muterebbe nel tempo: o andrà peggio o andrà meglio, o scomparirà o perdurerà, e qualora sembrasse inalterata, nella forma e nella quantità, il tempo che passa (e ferisce colui che soffre) cambierebbe di certo il quadro nel quale essa si raffiguerebbe. E quella rabbia incontrollabile aumenterà per forza, o in qualche modo si stempererà. Un genitore per forza influirà sul proprio figlio, così come un educatore sul suo assistito. Posso allora decidere di darmi degli obiettivi e impegnarmi sodo per poi verificare il cambiamento avvenuto. Allora la domanda che mi viene posta acquista un significato sia esistenziale sia pragmatico ed insieme, il suo latore ed io, ci lavoriamo.
Se invece il significato che si dà alla domanda sottende una sfiducia ed un annichilamento, una tendenza all’immobilismo ed una difficoltà ad assumersi la responsabilità di ciò che accade, allora baderemo attenti all’evolversi di questa stessa sfiducia, che necessariamente faremo cambiare in una delle due direzioni possibili: trovare serenità nella corrente del fiume o far nascere in noi la fiducia nel cambiamento possibile.
Il tondo ed il quadrato
Chi nasce tondo non muore quadrato, si dice, ed è vero. Ma costruitemi un cerchio perfetto, di qualsiasi materiale, e prendete ad usarlo in qualsiasi modo vogliate: nel tempo, proprio perché usato, esso modificherà necessariamente la sua forma e dove non c’era nessun lato vedremo comparire degli allungamenti della curva che somigliano ad un lato. E se costruite un quadrato, seppur di granito, a furia di tirarlo, spingerlo e maneggiarlo, vedrete nel tempo gli angoli smussarsi e quei sicuri lati dritti e spianati incresparsi e cominciare ad onduleggiare incerti.
Il cerchio, dinamico ma instabile, appiattendosi in qualche parte troverà proprio in quegli appiattimenti punti di equilibrio e di resistenza rispetto alle forze che lo spingono e troverà quindi meritato riposo; il quadrato, prima stagliato ed immobile, essendosi mosso per forza, avendo strusciato e ruzzolato più volte nella vita sarà diventato meno resistente al movimento, ed i suoi lati ora increspati lo renderanno infine meno statico. Il cerchio guardandosi allo specchio non potrà che vedere un cerchio, certo, ma diverso, cambiato. Ed il quadrato non vedrà certo una ruota, ma nemmeno più quegli angoli appuntiti e taglienti.
I sintomi, i problemi, sono il segnale che qualcosa in noi non funziona come dovrebbe e non riusciamo quindi a risolvere le situazioni conflittuali o annichilenti nelle quali ci imbattiamo. Sono il segnale che qualcosa va cambiato. Talvolta un aiuto specifico, veloce e mirato ci permette di sciogliere il nodo nel quale eravamo incappati. Altre volte invece bisogna rinforzare l’intera nostra persona, con un lavoro più lungo. In entrambi i casi comunque solo modificare sé stessi, nella direzione e nel modo giusto, offre la possibilità di risolvere i problemi e superare quindi i sintomi. Il cambiamento quindi comincia sempre da se stessi.
Non possiamo quindi non cambiare, dicevo, la vita ci cambia comunque. Noi possiamo però decidere quale ruolo darci, tronco alla deriva o ammiraglia in cerca di nuove frontiere. Se impariamo quindi a modificare il nostro modo di essere e di fare diveniamo noi stessi di fatto “diversi”, cambiamo nella direzione desiderata, acquisendo nuove abilità e imparando a fare scelte diverse. Cambia il modo di sentire, di pensare, di stare in relazione, si evolvono i bisogni, si acuiscono le capacità. Da scelte differenti, poi, supportati da nuove abilità, discendono situazioni esterne ed interne diverse, e se la direzione è quella giusta, migliora la nostra condizione. Cambiando noi, in sostanza, dopo poco cambierà anche il mondo esterno, o almeno parte di quello con cui intratteniamo relazioni, proprio perché iniziamo a comportarci in maniera differente. Partiti allora da una domanda, espressione dei dubbi circa i cambiamenti possibili, scoraggiati magari dalle avversità, ci ritroviamo infine a saltare in un mondo diverso, migliore, più adatto ai nostri bisogni e ai nostri modi di essere.
Si cambia sempre quindi, e si impara a cambiare. Mi sembra questo un buon modo di rispondere alla domanda.